Romain Zaleski
In effetti Zaleski, un ingegnere minerario di origini polacche, francese per nascita e italiano di adozione, recita da sempre il ruolo dello scalatore di successo. Un duro dall'aria dimessa che non traffica in immobili e come banchiere di riferimento si è scelto Giovanni Bazoli di Banca Intesa. Il finanziere franco-polacco da 20 anni ha messo radici tra Milano e Breno, in Valcamonica. Anche lui, però, come molti altri raider ama la navigazione offshore. Le sue holding sono piazzate in Paesi dal fisco leggero, come il Lussemburgo e l'Olanda. E, a ben guardare, nonostante la fama dello scalatore solitario, anche il gruppo di Zaleski è un affare di famiglia. Meglio, di famiglie.
Ancora non basta. La galassia Zaleski comprende altre due casseforti, questa volta olandesi. Si chiamano Tanagra e Ajanta. Roba di famiglia, perché entrambe sono controllate dalla fondazione Zygmunt Zaleski. Partendo da Amsterdam si arriva fino a Hong Kong. La holding Tanagra, infatti, controlla la finanziaria Blowin, con base nella metropoli cinese. E alla Blowin fa capo una partecipazione del 10 per cento circa nella Everbest century holdings, con sede legale alle Bermuda ma quotata alla Borsa della ex città-Stato britannica in Estremo Oriente. Secondo quanto risulta dai più recenti documenti ufficiali, un altro pacchetto azionario di poco inferiore al 10 per cento farebbe capo direttamente alla famiglia Zaleski. Di che cosa si stratta? La Everbest è una finanziaria che investe nei settori più disparati. Si va dal commercio di abbigliamento fino alle centrali di carbone in Cina. Non è un colosso: gli ultimi dati disponibili riferiscono di attività per poche decine di milioni di euro. Poca cosa, insomma, rispetto alle scalate miliardarie lanciate in Italia da Zaleski, che però, a quanto pare, non ha voluto rinunciare a una puntata nel Far East. Se lo può permettere. Le sue società sparse tra l'Italia, l'Olanda e il Lussemburgo funzionano come un sistema di vasi comunicanti in cui viaggiano centinaia di milioni di euro, tra prestiti e vendite incrociate.
Facciamo un esempio. Nel 2004 la Carlo Tassara spa ha varato un aumento di capitale. Anche la Ajanta partecipa impiegando circa 65 milioni di euro. Quei soldi arrivano dalle casse della Società Camuna di partecipazioni, che a quell'epoca si chiamava ancora Carlo Tassara finanziaria. In pratica la società italiana presta denaro a quella olandese che a sua volta sottoscrive azioni di una terza società italiana, consociata della prima. Un anno dopo, ad agosto del 2005, Ajanta restituisce il prestito ricevuto dalla Carlo Tassara finanziaria. Per i soldi nessun problema. Per l'occasione, infatti, viene varata l'ennesima operazione tutta interna al gruppo. La holding di Amsterdam vende il suo 10,8 per cento della Carlo Tassara finanziaria alla Argepa del Lussemburgo, che sborsa 150 milioni di euro. E a questo punto, grazie al nuovo incasso, la Ajanta può rimborsare il finanziamento ottenuto un anno prima.
Lo stesso copione è andato in scena anche per Tanagra. L'altra holding di Amsterdam, come la sua gemella Ajanta, nel 2004 ha attinto 65 milioni dalle casse della Carlo Tassara finanziaria. Questa volta però il prestito non è stato restituito nel giro di un anno. Anzi, l'estate scorsa Tanagra ha ricevuto un secondo finanziamento all'incirca dello stesso importo. Ancora una volta è toccato alla Carlo Tassara finanziaria aprire i cordoni della borsa. E già che c'era la società italiana ha finanziato a piene mani anche la holding lussemburghese Argepa, che tra il 2004 e il 2005 ha ricevuto circa 250 milioni.
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