Romain Zaleski
Romain Zaleski, classe 1933, fa di professione il finanziere. Anzi, raider, autore di clamorose e ricchissime speculazioni in Borsa. Prima Falck, poi Compart-Montedison, infine Edison. Un serie di successi che gli ha fruttato più di un miliardo di euro pronti da spendere. Magari, come scommette la Borsa, nel riassetto azionario del 'Corriere della Sera' o di Telecom Italia.
In effetti Zaleski, un ingegnere minerario di origini polacche, francese per nascita e italiano di adozione, recita da sempre il ruolo dello scalatore di successo. Un duro dall'aria dimessa che non traffica in immobili e come banchiere di riferimento si è scelto Giovanni Bazoli di Banca Intesa. Il finanziere franco-polacco da 20 anni ha messo radici tra Milano e Breno, in Valcamonica. Anche lui, però, come molti altri raider ama la navigazione offshore. Le sue holding sono piazzate in Paesi dal fisco leggero, come il Lussemburgo e l'Olanda. E, a ben guardare, nonostante la fama dello scalatore solitario, anche il gruppo di Zaleski è un affare di famiglia. Meglio, di famiglie.
In cima a tutto c'è la Zygmunt Zaleski stichting, una fondazione con base ad Amsterdam in cui probabilmente confluiscono gli interessi di altri rami della dinastia. In Lussemburgo troviamo una seconda holding, la Argepa. Anche qui il raider non è solo. Pacchetti importanti, complessivamente circa il 40 per cento del capitale, risultano intestati ai due figli Konstantin (Kosty per gli amici) e Wladimir, soprannominato Wlady. Oltre il 20 per cento della finanziaria lussemburghese fa invece capo alla famiglia Tassara, per la precisione a Giuseppe Tassara e a sua moglie Carla Dufour. Sono loro gli eredi di una dinastia di pionieri dell'acciaio partiti da Genova quasi due secoli fa per approdare in Valcamonica. Zaleski comparve all'orizzonte nel 1984 come manager del gruppo. Riuscì a rilanciarlo, salvo poi prenderne il controllo e usarlo come piattaforma per le sue fortunate incursioni in Borsa. Sempre con l'appoggio sostanziale, sotto forma di generosi prestiti, di Banca Intesa.
Argepa invece, nata nel 2000, è diventata la cassaforte societaria che custodisce i pacchetti azionari di controllo delle due aziende italiane: la Carlo Tassara spa e la Società Camuna di partecipazioni. Quest'ultima, è il caso di dirlo, naviga letteralmente nell'oro. Grazie all'Opa lanciata dai francesi di Edf, la scommessa su Edison ha fruttato profitti netti per oltre un miliardo di euro, accantonati come riserve nelle casse della Società Camuna di partecipazioni, che fino a pochi mesi fa si chiamava Carlo Tassara finanziaria.
Ancora non basta. La galassia Zaleski comprende altre due casseforti, questa volta olandesi. Si chiamano Tanagra e Ajanta. Roba di famiglia, perché entrambe sono controllate dalla fondazione Zygmunt Zaleski. Partendo da Amsterdam si arriva fino a Hong Kong. La holding Tanagra, infatti, controlla la finanziaria Blowin, con base nella metropoli cinese. E alla Blowin fa capo una partecipazione del 10 per cento circa nella Everbest century holdings, con sede legale alle Bermuda ma quotata alla Borsa della ex città-Stato britannica in Estremo Oriente. Secondo quanto risulta dai più recenti documenti ufficiali, un altro pacchetto azionario di poco inferiore al 10 per cento farebbe capo direttamente alla famiglia Zaleski. Di che cosa si stratta? La Everbest è una finanziaria che investe nei settori più disparati. Si va dal commercio di abbigliamento fino alle centrali di carbone in Cina. Non è un colosso: gli ultimi dati disponibili riferiscono di attività per poche decine di milioni di euro. Poca cosa, insomma, rispetto alle scalate miliardarie lanciate in Italia da Zaleski, che però, a quanto pare, non ha voluto rinunciare a una puntata nel Far East. Se lo può permettere. Le sue società sparse tra l'Italia, l'Olanda e il Lussemburgo funzionano come un sistema di vasi comunicanti in cui viaggiano centinaia di milioni di euro, tra prestiti e vendite incrociate.
Facciamo un esempio. Nel 2004 la Carlo Tassara spa ha varato un aumento di capitale. Anche la Ajanta partecipa impiegando circa 65 milioni di euro. Quei soldi arrivano dalle casse della Società Camuna di partecipazioni, che a quell'epoca si chiamava ancora Carlo Tassara finanziaria. In pratica la società italiana presta denaro a quella olandese che a sua volta sottoscrive azioni di una terza società italiana, consociata della prima. Un anno dopo, ad agosto del 2005, Ajanta restituisce il prestito ricevuto dalla Carlo Tassara finanziaria. Per i soldi nessun problema. Per l'occasione, infatti, viene varata l'ennesima operazione tutta interna al gruppo. La holding di Amsterdam vende il suo 10,8 per cento della Carlo Tassara finanziaria alla Argepa del Lussemburgo, che sborsa 150 milioni di euro. E a questo punto, grazie al nuovo incasso, la Ajanta può rimborsare il finanziamento ottenuto un anno prima.
Lo stesso copione è andato in scena anche per Tanagra. L'altra holding di Amsterdam, come la sua gemella Ajanta, nel 2004 ha attinto 65 milioni dalle casse della Carlo Tassara finanziaria. Questa volta però il prestito non è stato restituito nel giro di un anno. Anzi, l'estate scorsa Tanagra ha ricevuto un secondo finanziamento all'incirca dello stesso importo. Ancora una volta è toccato alla Carlo Tassara finanziaria aprire i cordoni della borsa. E già che c'era la società italiana ha finanziato a piene mani anche la holding lussemburghese Argepa, che tra il 2004 e il 2005 ha ricevuto circa 250 milioni.
Questa gran girandola è servita a puntellare gli equilibri finanziari in attesa del grande incasso dell'estate scorsa, quando la vendita delle azioni e dei warrant in Edison e in Italenergia bis ha fruttato un mega assegno di quasi 2,4 miliardi di euro. Una somma enorme, che per oltre la metà, circa 1,3 miliardi, è servita a rimborsare i debiti bancari. Il resto rimane in attesa di un impiego. Le partite aperte sono quelle su Rcs e Telecom Italia. Zaleski potrebbe candidarsi ad affiancare i gruppi di controllo in sostituzione dei furbetti Stefano Ricucci (nel 'Corriere della Sera') e Chicco Gnutti (nel gruppo di telecomunicazioni). Nel frattempo il finanziere franco-polacco è entrato nel patto di sindacato che controlla Banca Intesa apportando la sua quota dell'1,59 per cento. Per una volta lo scalatore ha tenuto a freno il suo istinto da raider. L'1 per cento del gruppo creditizio era stato rastrellato in Borsa nel 2004 a un prezzo medio di 3 euro. E adesso le azioni Banca Intesa viaggiano intorno a 4,6 euro. Come dire che la plusvalenza potenziale valeva oltre 100 milioni. Ma Zaleski, pur di dare una mano al suo amico Bazoli, ha rinunciato a un facile guadagno.
Scala e opere di bene
Non solo acciaio e finanza. Gli Zaleski hanno impiegato una parte delle fortune di famiglia anche per sostenere iniziative culturali. La fondazione Zygmunt Zaleski, a cui fanno capo, tra l'altro, anche le holding del gruppo, si trova in prima fila tra i finanziatori della Biblioteca polacca a Parigi, una scelta legata alle origini della dinastia. Sempre nella capitale francese anche la Ecole Normale de Musique riceve un sostanzioso assegno dagli Zaleski, sotto forma di Borsa di studio per studenti meritevoli. E la musica dev'essere una passione di famiglia, se è vero che Helene de Pritwitz, la moglie del finanziere, siede nel consiglio della Fondazione Milano per la Scala. Di recente invece Zaleski ha stretto un accordo con la Fondazione San Paolo di Brescia, tradizionale punto d'incontro della borghesia cattolica della città. Una scelta non proprio casuale se si considerano i legami di Zaleski con il territorio bresciano. Le sue aziende hanno sede nella vicina Valcamonica e la città lombarda è il regno del suo amico Giovanni Bazoli, il presidente di Banca Intesa alfiere della finanza bianca. Le Fondazioni San Paolo e Zygmunt Zaleski hanno raggiunto un'intesa per finanziare insieme "enti, associazioni e scuole di matrice cattolica".
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